contro- intestazione

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Appunti di fotografia applicata

Il 2 novembre 2016 l'amico Paolo mi ha chiesto di tenere una serata ai suoi studenti del corso base di fotografia.

Sorridi, che è meglio.

Avrei dovuto trattare il tema della Fotografia della Natura e così, diritto e di sbieco, ho fatto. In effetti passo per essere un foto-naturalista anche se in realtà non lo sono affatto, l'occasione comunque mi ha dato modo di riflettere, di fare il punto, non tanto sulla foto della natura (appunto), quanto sul mio fotografare in genere, sul modo e sullo scopo. Se, da molti anni, alla domanda fondamentale - perché fotografo - ho dato una risposta certa e definitiva (ne parlo più avanti), altri concetti andavano chiariti e posti nel giusto ordine. Mi sembra utile scriverne qui, per mia memoria e per uso di tutti i lettori di Fotobestiali (che in maggioranza son fotografi), perché son certo che pur partendo da considerazioni strettamente personali (biografiche) le questioni trattate sono di interesse per chiunque impugni una fotocamera. 

Il punto zero: Perché fotografo.
Di certo non per mestiere, e tagliamo via metà argomenti. Fotografare per mestiere significa soddisfare le esigenze di terzi (clienti) secondo la legge della domanda e dell'offerta che in termini brutali significa fotografare non ciò che interessa, ma ciò che il cliente richiede. Per carità, è pur vero che nel fare ciò occorre creatività, capacità di immaginazione e di "problem solving",  è la parte bella del lavoro, ma per me, nel complesso, rimane una forzatura. L'ho misurata nel secolo scorso e non mi è piaciuto, mestiere per mestiere tanto vale fare altro, così ho mantenuto mano libera sulla Fotografia. E allora perché fotografo? Perché la Fotografia è il miglior strumento che ho trovato per indagare, per conoscere, per esplorare con partecipazione, il mondo che mi circonda. Questa è la motivazione che da quasi trent'anni mi fa prendere in mano la fotocamera per uscire a vedere che diamine c'è là fuori. Potrei farlo senza fotocamera? No, non così almeno, non con l'ebbrezza dell'inatteso e della scoperta che si manifesta nell'atto stesso di fotografare.

Pensiamoci su.

Chiarire l'equivoco:  Foto-naturalista? Ma anche no.
Sono un fotografo "onnivoro" con predilezione per la vita all'aria aperta possibilmente in luoghi con scarsa presenza umana. Questa mia "attitudine"  non fa di me un foto naturalista: un vero foto naturalista ha un approccio metodico e scientifico, studia, si documenta, e opera con precisione quasi chirurgica. Io non sono affatto scientifico, mi affido al caso, all'occasione, al calcolo delle probabilità guidato da stime "spannometriche", parlo con la gente che incontro (se ne incontro) e pianifico solo l'ora di uscita dalla porta di casa (e anche lì ho testimoni che possono affermare il contrario). Opero, insomma, in linea con la mia filosofia della fotografia che è strumento di indagine, esplorazione ed esperienza diretta, in altre parole Avventura. Specificatamente ai selvatici, significa che non vado a cercarli dove è certo l'incontro, li aspetto dove mi sembra sia più probabile trovarli, senza sbattermi per raggiungere l'hot spot del cervo o della capinera, spero di trovarli in un posto che mi pare promettente e basta. Va detto che il mio è un metodo molto dispendioso, in termini di tempo, e scarso in produzione di immagini il che può scoraggiare, ma è anche vero, e lo dico con un pizzico d'orgoglio, che solo chi percorre sentieri inesplorati può scoprire nuove strade.

Viva l'autoscatto. Oggi si chiama selfie. Per la cronaca quel giorno non ho fotografato un bel niente.

Sulla radice della Fotografia: il segreto di un successo.
'Sta roba è un po' una palla, ma l'ho scritta per tenerne traccia a futura memoria. Ci siam mai chiesti perché tutti, ma proprio tutti, dalla Svezia al Sud Africa prima o poi una macchinetta in tasca, nella borsa se la sono messa? Per fare fotografie Fashion emulando Avedon? Per fotografare in modo "stylish" le pietanze preparate dalla moglie? No direi che siam fuori strada. Con la nascita dell'immagine fotografica ci siam trovati tra le mani uno strumento in grado di registrare il Reale (non una sua interpretazione tratteggiata a matita, ma il mondo "vero" con le sue forme precise) e la possibilità di farlo in un attimo, in un click. La ragione della fotografia, in estrema sintesi, è nella capacità di catturare la realtà dell'istante sfuggente ed irripetibile, per quello che è (i bambini, la morosa, gli amici, la mamma ... ); del resto è scopo stesso della Fotografia riprodurre la realtà nel modo più fedele possibile, la sua tecnologia è pensata ed ottimizzata per questo fine (quante pippe su "quell'obiettivo è meglio di quell'altro"). Curiosamente la Fotografia non riesce a perdere la sua affezione a riprodurre la realtà anche quando si interviene elaborando e manipolando l'immagine, il fatto è che quanto compare nella cornice, gli elementi che costituiscono l'inquadratura, sono comunque entità (cose - persone - animali - paesaggi) appartenenti a questo mondo, con le loro forme vere, le loro proporzioni, e non il prodotto della capacità grafica di un disegnatore. La fotografia è lo strumento con cui possiamo registrare quel che vediamo, come fa un registratore con suoni e parole. Questa è la posizione "0" del mezzo fotografico, ovvio che da qui ad imparare a dominarne la tecnica per "raccontare" quel che si vuole, e come lo si vuole, il passo è abbastanza breve, ma ciò non toglie nulla al valore della questa posizione "0" che è quella che ha fatto dell'immagine fissa fotografica uno dei modi che l'uomo utilizza comunemente per comunicare.
Qualche esempio dell'importanza di questo aspetto della Fotografia: la prendo larga con le immagini su lastre al collodio di Mathew Brady della guerra di secessione americana che sono la prima testimonianza della forza comunicativa della fotografia tanto che oggi, grazie a quelle foto, sappiamo di più degli americani di metà ottocento che dei nostri connazionali coevi di Cavour (belle le acqueforti delle battaglie risorgimentali, ma fanno un po' fumettone alla Corrierino dei Piccoli); la fotografia soppianta la pittura nel ritratto, questione di costi, ma anche di "verismo"; agli UFO, a Bigfoot e all'uomo delle nevi non crede nessuno perché non si è mai vista una fotografia dettagliata, si dice un'immagine "credibile"; sul passaporto ci deve essere la foto "asettica" e recente della nostra bella faccia altrimenti il documento non vale una cicca e ci rimandano a casa. Devo fare altri esempi? Direi basta, la fotografia ancora oggi è veicolo di informazione attendibile, "credibile".

Un momento che "scappa".

Del Fotogiornalismo.
In qualche modo, di sbieco di taglio, di sguincio, vengo da lì; niente di che, per carità, ma l'impostazione che mi è rimasta è quella del "servizio" per il giornale. Quest'anno il Fotogiornalismo compie 175 anni e forse ha esaurito la sua funzione. Come previsto anni addietro, oggi sui giornali (che non legge più nessuno) e nelle pagine web degli stessi, gli editori fanno ricorso ad immagini da smartphone dei testimoni occasionali, non di fotogiornalisti (accreditati, preparati, armati di fotocamere e mestiere), ma dalla Qualunque che passa di lì in quel momento. Il "servizio" fotogiornalistico ormai è un anacronismo nei fatti. Non c'è più spazio per la storia scandita da un set di immagini raccolte e presentate in un ordine non casuale, oggi, ben che vada, ci son le pagine web, ipertesti multimediali, in cui tutto è mobile e liquido. Sta finendo un'era e se ne apre una nuova tutta da esplorare, dove chiunque sarà "reporter", una stagione che di certo ci darà montagne di foto inequivocabilmente "brutte" e non per via dello smartphone, ma perché registrate da improvvisati. Non so come chiamarli altrimenti, è un peccato, stiamo perdendo la "grammatica" dell'immagine giornalistica, suppongo che ne acquisiremo una nuova, diversa: la chiameremo "la grammatica dei piedi mozzi e degli orizzonti sbilenchi". Quello che invece non si perderà è la valenza della testimonianza fotografica.

Uè, ma che roba eh? 'Ste notizie son tutte uguali!

Fotografia, arte o non arte? Non lo so e non mi riguarda.
Su questo punto voglio solo dire che, per come la intendo io, nella Fotografia non è fondamentale la sua interpretazione artistica quanto la possibilità di veicolare contenuti, anche contenuti a perdere, e si chiama Cronaca, cioè bene di consumo che, una volta compiuta la funzione di trasferire l'informazione può anche finire nel cestino. Beh, io non butto via mai niente, però provo un certo senso di giustizia nel sapere che una fotografia si può anche consumare e perdere. Ne verranno altre a raccontare altre storie, un bene per i fotografi. Invece molto male mi fa ragionare di quelle foto che, estratte dal loro contesto, dal servizio a cui appartenevano, diventato "icone" artistiche, riferimenti assoluti. E' una debolezza naturale quella di trasformare una frase in poesia, anche se non è stata pensata e realizzata per quello scopo, poco mi consola sapere che per le "nuove" fotografie digitali sarà molto difficile godere della stessa sorte. Ciò non dipende dal fatto che se ne fanno miliardi ogni giorno, ma dal poco tempo di permanenza di quelle foto davanti agli occhi dei lettori: zac, un colpo di dita e via, dimenticata.

Valerio, questo è un punto spinoso.
Fermati prima di dire fesserie..

Regista od Osservatore? Bisogna scegliere.
Questo è un punto delicato noto solo ai fotografi che si son confrontati con esigenze editoriali; gli altri spesso non si accorgono nemmeno della sua esistenza, ma è fondamentale per definire con coscienza la propria collocazione. C'è una bella differenza tra fotografare come testimone di fatti e cose oppure essere regista, compositore di inquadrature. Non voglio inalberarmi sciorinando i principi assoluti della deontologia del fotogiornalismo (che tanto è alle ortiche, non la deontologia: la professione), a me non interessa, non ho un contratto con alcun editore salvo me stesso, però posso dire che da consumatore di fotografie (lettore), uno "snapshot" mi trasmette un pathos 10^3 volte maggiore di un'immagine perfetta, sublime, realizzata in condizioni controllate e pianificate. Un'immagine composta a tavolino, in studio, al computer ha una valenza differente (non maggiore o minore, solo diversa) dall'immagine raccolta sul campo come osservatore. L'immagine catturata non è priva di interpretazione, il punto di vista di chi ha fotografato, ma è priva di regia perché gli elementi ritratti non seguono le direttive del fotografo, ma hanno volontà propria o semplicemente sono lì, davanti alla fotocamera. Questo tipo di immagini sono quelle che spingono milioni di turisti a visitare New York, a perlustrare i vicoli di Mon Martre, a correre con i tori a Pamplona, a spendere un patrimonio per vedere il tramonto su Hayers Rock; questa è fotografia di Testimonianza. Occorre osservare che rimane Testimoninaza anche computando nell'equazione l'interazione con il fotografo, la cui presenza (fisicità) ovviamente non può essere eliminata, perché parte, non inquadrata, della scena.
Ciascuno ha il diritto di appassionarsi alla fotografia che preferisce, che sente più sua, sta di fatto che la fotografia non avrebbe avuto il successo e la diffusione che ha avuto se fosse stata semplicemente succedanea alla pittura. La Fotografia è altro, è un occhio che registra il mondo, lo cattura, o almeno riesce molto bene nel creare l'illusione di farlo.

Fate un po' voi, io vi guardo.

Il richiamo della Foresta: la fotografia della natura è la più diffusa.
Chiaro, la Natura è sempre disponibile, aperta h24 non ti chiede la liberatoria, si concede senza richiedere giustificazioni. Partendo dal panorama delle vacanze, al mare o in montagna, se ci si appassiona, ci si può ritrovare a carponi nel fango a guardar negli occhi un rospo.  Io ho cominciato da qui, dalla fotografia della natura. Avvenne un po' per caso nel senso che mi accorsi che attraverso la fotocamera anche il bordo di una risaia, un fosso, uno striminzito boschetto di acacie, nella monocoltura desolante, si trasformava in un luogo esotico come non avrei mai potuto immaginare. I due serpenti (biacchi - Coluber viridiflavus) che incontrai nelle campagne di Agognate nell'estate del 1989 sembrava volessero dirmi "Siam sempre stati qua, ma tu te ne sei accorto solo guardando nel mirino della tua Minolta". Era il secondo rullo di diapositive che montavo in camera, accidenti che forza la Fotografia! Poi ho fotografato altro, "ho visto gente e fatto cose", ma alla fine son tornato all'origine, al boschetto di Robinie. Pur non essendo, come detto, un fotonaturalista con tutti i crismi, qualcosa l'ho capito: ho capito che prima vengono le creature selvagge e poi, molto poi, la bella foto che vorremmo realizzare, ho capito che le altre forme di vita hanno il nostro stesso diritto di stare al mondo, danneggiarle o peggio ucciderle (anche involontariamente) per soddisfare la bramosia di una foto migliore è un delitto moralmente esecrabile. Per questo motivo non ho una "bella" foto di un tritone o una rana davanti all'oblò dello scafandro, perché gli anfibi non li tocco, potrei arrecare loro danno, mi limito ad osservarli, ad avvicinarli senza devastare con il mio corpaccione il loro ambiente, finché decidono di andarsene (o io crepo di freddo). Se un domani sarò fortunato, magari una bella natrice dal collare deciderà di venir a guardare dentro alla boccia di cristallo dell'oblò e fino ad allora sarà bello provarci rendendosi disponibili all'incontro. Questo è il mio approccio nel fotografare la natura, l'ho già scritto e lo ribadisco qui perché ora più che mai, dato il crescente interesse per questo genere di fotografia, è necessario essere consci che il mondo non è un playground a nostro uso e consumo.

Scatto n° 12 del secondo rullo dia della mia vita. Giugno 1989.
Minolta X700, ob Minolta MD 70-200/4 Ektachrome 100, mano libera.

L'equipaggiamento non fa il fotografo ma lo aiuta a fare le fotografie.
Vecchio argomento, ma mi piace tirarlo fuori. Quante volte ho sentito fotografi, anche in gamba, affermare che una fotocamera vale un'altra che un obiettivo buono è sì importante, ma ci vuole il "manico". Baggianate, certo "il manico" serve, ma quel che c'è in borsa è importantissimo e oggi lo è più di ieri. Un fotografo non può prescindere dal mezzo che utilizza per fotografare, del resto per un chitarrista una chitarra non vale un'altra, così per chi usa lo strumento con preciso scopo di produrre proficuamente immagini, avere un buon feeling con gli attrezzi di ripresa significa veramente fare immagini migliori. Intristisco sempre quando mi capita per le mani qualche macchinetta di quelle che "fan tutto loro". Giuro che non le so usare, bombardate come sono di simboli che nemmeno nelle piramidi dei faraoni d'Egitto, zeppe piene di pulsanti equivocabili, decisamente non fan per me. Con le fotocamere ho un rapporto di odio e amore, ma devono soddisfare le mie esigenze cioè devono essere PRATICHE. Le Nikon son pratiche, ma solo quelle care come il fuoco. E ti pareva.

Non ti distrarre.

Ma la Fotografia cosa è davvero?
Detesto la dizione di "fotoamatore", la detesto di più che la Juventus degli anni '80. Se con fotoamatore si intendesse "colui che ama fare fotografie" sarebbe quasi digeribile, salvo definire a che pro "fare" quelle fotografie. In realtà, banalmente, con fotoamatore si individua "colui che ama La Fotografia". Onestamente, ed ammetto che ci ho messo un po' a capirlo, confondevo la passione per gli strumenti  per fotografare con il gusto di utilizzarli. La sostanziale differenza risiede in cosa si intende per Fotografia e solo frequentando molti fotoamatori ho avuto la conferma che per loro la Fotografia si realizza nel  singolo scatto ideale, opera auto referenziale che non richiede contestualizzazione (ahhh didascalia, vade retro). Per me non è mai stato così, mi ha catturato dalla potenza espressiva che la fotografia sa veicolare, un potere che non può stare rinchiuso nell'Opera incorniciata, al più questo può questo essere il punto di partenza, il titolo di un capitolo. E' dall'insieme di fotografie raccolte su un argomento che ho soddisfazione e passione, in altre parole è il Linguaggio della Fotografia che mi ha catturato. In questo e solo in questo ho compreso di divergere dal comune fotoamatore ed è ragione del fatto che sono in imbarazzo a sottoporre delle foto per un concorso. Non posso che concludere con l'affermazione: io non sono un fotoamatore. Pace.

Nikon D800, ob. Sigma 24/1.4 ART e la luce di Bosa una sera di giugno.
Poi ci sono tutte le altre foto a raccontare davvero Bosa d'estate.

La corsa agli armamenti e la digital revolution: le debolezze dell'Uomo.
Dunque esce il nuovo modello, la Nikon/Cnon/Sony/Fuji D12345. Il mondo ti dice (tutto il mondo) quanto sia assolutamente straordinaria la nuova fotocamera mentre quella che hai in mano, la Nikon/Canon/Sony/Fuji D123456, invece, ormai, è universalmente riconosciuta e certificata quale "merdasecca"; te ne devi liberare al più presto perché, altrimenti, anche le tue foto, nel confronto, puzzeranno di escremento essiccato. Purtroppo negli anni immediatamente successivi al 2000, gli anni della prima diffusione della fotografia digitale, questa legge valeva in termini oggettivi, infatti i costruttori hanno sviluppato sensori sempre più performanti, ma a passi evolutivi tali da marcare la differenza con l'immediato passato. Ora non è più così, alla filastrocca della "caccasecca" non crede più nessuno perché le foto son lì da vedere, e profumano di viole, altro ché. Parlo delle foto fatte con apparecchi classici, obiettivo camera e mirino, in questo senso la rivoluzione digitale ha solamente fatto fuori la pellicola e lanciato le possibilità di ciascun fotografo su orizzonti inimmaginabili il secolo scorso (definizione e gamma dinamica da baciarsi i gomiti, roba che solo con il banco ottico si poteva osare tanto). Ora siamo al punto in cui l'attuale tecnologia fotografica, intesa come la conosciamo da 60 anni, non ha più nulla da offrire in termini di innovazione tale da far buttare a mare tutto il corredo. Il motore dell'economia (folle) che ha contraddistinto il primo decennio di questo mercato si è arrestato, i costruttori ci provano ancora, il gioco gli piaceva, e lo credo, ma il meccanismo non può più funzionare. La corsa ai 100 Mp sul formato 24x36 è una stronzata clamorosa, eppure Sony e concorrenti (Canon) puntano a quello. Ma a noi servono veramente? Ho un amico che dice "si" senza dubbi, perché, nell'interpretazione dell'alta fedeltà dell'immagine, non si possono mettere limiti di risoluzione. Io la vedo diversamente e mi rifaccio ai nostri di limiti, di esseri viventi che oltre ad una certa soglia di percezione non possono arrivare. Già io porto gli occhiali, poi, al netto di problemi vari di retina e mica retina, sai cosa ti dico Nikon? E' già tanto il grasso che cola dal sensore da 36 Mp delle D800 che di più finisce che mi si alza colesterolo e glicemia. Grazie no, io passo. Finché vanno le mie macchinette (finché non me le fottono) so con cosa fotografare, anche se mi cambi le batterie e togli dal mercato i pezzi di ricambio (...eh, eh , eh,  bastardelli ...)

Oohh va che schifo.
Nikon D300 (250 euro valore corrente) + Nikon AFs 60/2.8 micro (400 euro, stesso fornitore).
Rottami da 12 Mp cadauna.

Infine, confesso, sono un Autodidatta e non me ne vanto.
Ho iniziato a fotografare seguendo un corso di fotografia, un corso tenuto a sua volta da un autodidatta (ciao Sergio, se mi leggi). Quella prima esperienza fu fondamentale perché mi consentì di andare dritto al punto oltre che di allacciare rapporti di sana amicizia con persone eccezionali. Quel poco che so l'ho imparato da questa bella gente e dalla Pratica cioè provando, sbagliando, riprovando, il metodo dell'autodidatta appunto. Del resto nella mia vita ho dedicato il tempo dello studio alla matematica siderale dei corsi di Ingegneria ed ammetto che mi è bastato. Mi manca, lo confesso, una formazione fotografica più accademica, strutturata, specialmente sul controllo della luce e (oggi) sul trattamento software del file grezzo. Ho sempre compensato con l'intuito e facendo tesoro delle esperienze accumulate, ma rimango un autodidatta, pregi e difetti.

... e i compiti? ... ma li faccio domani!!

Ho parlato di tutto questo il 2 Novembre 2016.
Solo in minima parte, ma avrei voluto pur sapendo che alcune argomentazioni possono apparire un poco noiose. La verità è che con la fotografia si può parlare, dire delle cose, fare incazzare la gente, farla commuovere, renderla felice oppure, e questo è il peggio, non indurre nessun effetto (e qui il fotografo ha fallito) perché la fotografia è un linguaggio ed è bene provare a conoscerlo, quantomeno cercare di decifrarlo anche se in realtà già lo facciamo perché è nella natura dell'uomo (e mica solo nella sua) guardare, decodificare, riconoscere in ciò che vede qualcosa di noto, di comparabile con il mondo che già conosce.

Ai neofiti dico che se la fotografia non vi stancherà, se vi resterà addosso come una seconda pelle, se non concepirete la possibilità di fare un viaggio senza la fotocamera in borsa, allora queste faccende dovrete affrontarle e ragionarvi sopra. Altrimenti la fotografia per voi non diventerà mai un linguaggio, resterà un oggetto accessorio, un di più a cui ricorrere nel momento del bisogno, sempre che vi ricordiate come si accende la fotocamera e : "Ma questa rotella a cos'è che serviva?"

Si ringraziano per la comparsata:
mia moglie Laura, mia cognata Melissa i nipotini Cele, Franz e Cate,  un giovane Lorenzo (che apre il post), sua sorella Bea ed un giovane Luca in un momento di estasi gastronomica.