Arriva tutti gli anni il 27 Gennaio, la ricorrenza dell'ingresso delle truppe sovietiche nel campo di Auschwitz ad Oswiecim nel sud della Polonia, a pochi chilometri dal confine slovacco. Lo dice la radio, il tg fa un bel servizio, SKY manda a martello documentari sull'Olocausto, una liturgia che si ripete, solenne, come giusto che sia.
La frase " il Lavoro rende Liberi" sa di presa per il culo anche senza campo di concentramento. Oswiecim, Polonia - Luglio |
Nell'estate del 2005, di ritorno dalla "spedizione" nella Puska Bialowieza (mi perdonino i polacchi per come scrivo, ma la mia tastiera non mi offre troppe libertà), il tragitto ci portò a sfiorare Auschwitz, luogo di morte come mai prima nessun altro nella storia dell'umanità. Curiosamente, per chi arriva da Katowice, per raggiungere il sito del campo occorre passare davanti allo stabilimento FCA Poland (allora FIAT Poland). Ricordo che pensai: "Cribbio, l'avvocato ... che pelo sullo stomaco". Infatti la FCA sorge a meno di 10 chilometri dal Campo. Ricordando che il complesso Auschwitz - Birkenau si estendeva per molti ettari e che oggi ne rimane solo una piccola parte, mi vien da pensare che ci sia stato un certo accavallamento nell'occupazione della superficie. A me 'sta roba fa un po' impressione, comunque: nell'avvicinarci al paese di Oswiecim, mi accorsi che le architetture di alcune vecchie case avevano un non so che di familiare con quanto saremmo andati a visitare. Edifici a due piani, squadrati, costruiti con muri di mattoni rossi a vista; la fabbrica della "soluzione finale" di Hitler non è scomparsa, è solo stata assorbita nello sviluppo del successivo dopoguerra, lo si vede bene anche dalle immagini da satellite di GoogleMaps, ma molto di più lo si percepisce percorrendo la strada 44 da Tychy a Oswiecim.
Perché visitare quel luogo oggi? Sappiamo già tutto!
Auschwitz non è il Colosseo, Pompei o la grande Muraglia, la cui bellezza eleva la natura umana, l'arricchisce del peso della storia, dell'evoluzione della ricerca, dell'ingegno. Qui invece parliamo di un posto di merda, dove d'estate si schianta di caldo e d'inverno (lunghissimo) si crepa nel gelo, sotto un cielo plumbeo che regala neve e umidità a profusione. Qui non ci sono antiche vestigia di un popolo nobile, ma la testimonianza concreta di una follia collettiva, folle nella sua metodica razionalità, evoluta proprio nella sua metodicità, micraniosamente progettata con un'efficienza degna della più performante multinazionale HiTech. Per questo si DEVE vedere questo luogo, per capire cosa sia capace l'essere umano, organismo senziente, inventore della cultura, della musica e della poesia. Qui ad Auschwitz c'è il "lato oscuro" dell'uomo, c'è la sua depravazione più profonda, elevata di rango di Istituzione perciò non ascrivibile a nessun genere noto di organizzazione delle faccende umane. E' evidente, dal mio verboso scrivere, che non trovo, nella mia lingua, parole adatte a sintetizzare con un solo vocabolo l'essenza di un Campo di Sterminio. Nel visitare Auschwitz attraversando strade e cortili, la prima cosa che mi ha colpito è stato il silenzio. I vacanzieri in abiti estivi facevano contrasto con il paesaggio circostante, severo e squadrato, ma nonostante i colori allegri, le magliette casual, le facce delle persone che ho incrociato erano tutte, dico tutte, quantomeno perplesse; come la mia presumo. Non sono le cataste di occhiali, di ciabatte, di valigie, di capelli che fanno sudare freddo, è l'insieme, è vedere il muro delle esecuzioni accanto a due edifici di funzione lavorativa, sono i forni e camere a gas, accanto alla piazza delle adunate dove i vivi venivano "enumerati" due, tre volte al giorno (e parliamo di migliaia di persone messe in fila e contate uno ad uno). Non si fa così nemmeno con gli animali da macello e qui invece l'uomo lo ha fatto al suo simile. Dopo mezzora di passeggiata nel campo, dopo aver visto, proposto ossessivamente, la fotografia di un giovane polacco (non ebreo, non zingaro, dissidente politico o altro, solo polacco) dai capelli rasati e dagli occhi sgranati dal terrore, mi sentivo piuttosto affaticato. Alla faccia della sindrome di Stendhal, qui si vive una sorta di transfert emotivo che pesa prima sulla mente e poi sul fisico. Perchè non è la morte, non è la tortura, non sono le sevizie a inorridire, a fare rivoltare lo stomaco, ma è il segno dell'organizzazione di fabbrica, dell'ordine geometrico a cui non doveva sfuggire nulla. Per contare 3 volte al giorno 10 mila persone ci vuole una bella convinzione e metodo, io mi romperei i coglioni al secondo giro: <si dai, siete quelli di ieri>. Ma 'sta povera gente dove diamine poteva scappare? In pigiama a strisce, rinchiusa in recinti elettrificati altri 4 metri, con la prospettiva, se in qualche miracoloso modo fosse riuscita a superare guardie, filo spinato, mine e cani, di essere denunciata dal primo contadino polacco che incontrava sul cammino, perché, occorre ricordarlo, la Polonia è stata stritolata dall'esercito tedesco e nei campi i polacchi erano il contorno al piatto di portata principale (gli ebrei) un po' come le patate con l'arrosto; fuori dai campi la Polonia tutta era un mega campo un po' più "soft".
Perché visitare quel luogo oggi? Sappiamo già tutto!
Auschwitz non è il Colosseo, Pompei o la grande Muraglia, la cui bellezza eleva la natura umana, l'arricchisce del peso della storia, dell'evoluzione della ricerca, dell'ingegno. Qui invece parliamo di un posto di merda, dove d'estate si schianta di caldo e d'inverno (lunghissimo) si crepa nel gelo, sotto un cielo plumbeo che regala neve e umidità a profusione. Qui non ci sono antiche vestigia di un popolo nobile, ma la testimonianza concreta di una follia collettiva, folle nella sua metodica razionalità, evoluta proprio nella sua metodicità, micraniosamente progettata con un'efficienza degna della più performante multinazionale HiTech. Per questo si DEVE vedere questo luogo, per capire cosa sia capace l'essere umano, organismo senziente, inventore della cultura, della musica e della poesia. Qui ad Auschwitz c'è il "lato oscuro" dell'uomo, c'è la sua depravazione più profonda, elevata di rango di Istituzione perciò non ascrivibile a nessun genere noto di organizzazione delle faccende umane. E' evidente, dal mio verboso scrivere, che non trovo, nella mia lingua, parole adatte a sintetizzare con un solo vocabolo l'essenza di un Campo di Sterminio. Nel visitare Auschwitz attraversando strade e cortili, la prima cosa che mi ha colpito è stato il silenzio. I vacanzieri in abiti estivi facevano contrasto con il paesaggio circostante, severo e squadrato, ma nonostante i colori allegri, le magliette casual, le facce delle persone che ho incrociato erano tutte, dico tutte, quantomeno perplesse; come la mia presumo. Non sono le cataste di occhiali, di ciabatte, di valigie, di capelli che fanno sudare freddo, è l'insieme, è vedere il muro delle esecuzioni accanto a due edifici di funzione lavorativa, sono i forni e camere a gas, accanto alla piazza delle adunate dove i vivi venivano "enumerati" due, tre volte al giorno (e parliamo di migliaia di persone messe in fila e contate uno ad uno). Non si fa così nemmeno con gli animali da macello e qui invece l'uomo lo ha fatto al suo simile. Dopo mezzora di passeggiata nel campo, dopo aver visto, proposto ossessivamente, la fotografia di un giovane polacco (non ebreo, non zingaro, dissidente politico o altro, solo polacco) dai capelli rasati e dagli occhi sgranati dal terrore, mi sentivo piuttosto affaticato. Alla faccia della sindrome di Stendhal, qui si vive una sorta di transfert emotivo che pesa prima sulla mente e poi sul fisico. Perchè non è la morte, non è la tortura, non sono le sevizie a inorridire, a fare rivoltare lo stomaco, ma è il segno dell'organizzazione di fabbrica, dell'ordine geometrico a cui non doveva sfuggire nulla. Per contare 3 volte al giorno 10 mila persone ci vuole una bella convinzione e metodo, io mi romperei i coglioni al secondo giro: <si dai, siete quelli di ieri>. Ma 'sta povera gente dove diamine poteva scappare? In pigiama a strisce, rinchiusa in recinti elettrificati altri 4 metri, con la prospettiva, se in qualche miracoloso modo fosse riuscita a superare guardie, filo spinato, mine e cani, di essere denunciata dal primo contadino polacco che incontrava sul cammino, perché, occorre ricordarlo, la Polonia è stata stritolata dall'esercito tedesco e nei campi i polacchi erano il contorno al piatto di portata principale (gli ebrei) un po' come le patate con l'arrosto; fuori dai campi la Polonia tutta era un mega campo un po' più "soft".
L'ingresso al campo con la famosa scritta (prima che la rubassero, poi però fortunatamente è stata recuperata). Oswiecim, Polonia - Luglio. |
Recinzioni come nemmeno per i nemici di Superman. Oswiecim, Polonia - Luglio. |
La piazza delle Adunate: qui li contavano uno ad uno 3-4 volte al giorno, con qualsiasi meteo. E nessuno aveva l'ombrello (nazi a parte). Oswiecim, Polonia - Luglio. |
In fondo al cortile: si spara alla gente. Oswiecim, Polonia - Luglio. |
Ma sì diamine! Dove cavolo vuoi che vada! Oswiecim, Polonia - Luglio. |
Carrelli e binari, anche il trasporto dalle camere a gas ai forni doveva essere ad alto rendimento. Oswiecim, Polonia - Luglio. |
Di qui usciva solo la cenere. |
Io non so come abbia fatto il popolo tedesco a metabolizzare l'orrore che ha generato. E non mi si venga a dire cose del tipo: "Eh, ma anche in Russia ... e poi noi italiani abbiamo fatto delle schifezze nel Corno d'Africa". Visitate Auschwitz, voi che producete queste puttanate, visitatelo e misurate con il metro la distanza tra le baracche e le camere a gas, guardate le foto delle donne ucraine in fila in tranquilla attesa del loro turno per essere gassate, con i bambini in braccio e i più grandi per mano. I russi nel Kolima hanno fatto carne di porco di migliaia di uomini e donne, ma non c'è paragone con questo, con il massacro ordinato, tranquillo, oserei dire, angosciosamente sereno. Ah sì le foto, sì perché ci sono. Molto è stato deliberatamente distrutto per nascondere le prove, ma i nazi dovevano documentare, dimostrare la loro efficienza, garantire al Reich che la loro parte, il loro lavoro, anche se non al fronte, la facevano e la facevano con criterio e perizia. Un orrore nell'orrore. Quale odio può giustificare tanto, quale somma di cause può far sì che un bambino non sia più un bambino. Non erano soldati esposti quotidianamente al fuoco nemico, il cui rapporto con la vita e la morte si contrae e scompare nella quotidianità, erano uomini in divisa chiamati a fare i serial killer d'istituzione. E lo facevano, obbedivano (dissero). Io mi sarei reso disponibile per il fronte e me la sarei giocata piuttosto che scegliere chi, appena scaricato dal carro, era destinato a morir di fame, stenti e malattia nei campi di lavoro, e chi invece doveva venir "terminato" subito.
E' vero, oggi giudicare è facile, ma in tutto questo, dopo settantun anni, qualcosa ancora non torna, non dà pace, non dovrebbe darne, a nessuna coscienza di qualunque fede religiosa e credo politico. Nel quesito senza risposta, nell'evidenza di uno o più tasselli mancanti, visitare un luogo come Auschwitz non serve per NON dimenticare, serve per capire qualcosina di più.
E' vero, oggi giudicare è facile, ma in tutto questo, dopo settantun anni, qualcosa ancora non torna, non dà pace, non dovrebbe darne, a nessuna coscienza di qualunque fede religiosa e credo politico. Nel quesito senza risposta, nell'evidenza di uno o più tasselli mancanti, visitare un luogo come Auschwitz non serve per NON dimenticare, serve per capire qualcosina di più.
Cosa sono 'sti pannelli grigi???? Oswiecim, Polonia - Luglio. |
E' la lista di nomi dei soli morti olandesi nel campo di Auschwitz. Oswiecim, Polonia - Luglio. |
Hai pienamente centrato il mio pensiero. Non sono stata qui ma a Mauthausen, circa 25 anni fa, qualcuno di più. Ricordo l'assordante silenzio. La mia fatica al solo atto di respirare lì dentro. Ancora ora a pensarci smetto di respirare e devo concentrarmi per farlo e sopraffare il senso di nausea. Eroo in dubbio se portare Matteo a Dachau. Ho deciso di no. Questo orrore è ancora difficile per me che all'epoca avevo circa 10 anni di più. Io ho preso coscienza solo con le tue foto che non ce la farò ad entrare di nuovo in un campo. La gente deve ricordare e bisogna mantenere vivo il ricordo di questo orrore. Non deve più accadere.
RispondiEliminaMauthausen è molto meglio di Oswiecim, lì si capisce appieno il senso della parola miseria umana. Ricordo quando vidi il primo forno crematorio rimasi sgomento: era un'opera di saldature fai-da-te di brande e di lamiere e pensai "vedi a cosa hanno pensato per bruciarli" e fui colto da un senso di vergogna per i nazi che lo avevano realizzato. Scattai una foto che a distanza di anni parla ancora senza dover parlare.
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